Cammino di Santiago in Sicilia
Cammino di Santiago in Sicilia di Marcella Croce
Nel Nord della Spagna snoda il suo tracciato una celebre via percorsa da una corrente spirituale ad alta tensione. E’ il Camino de Santiago, uno dei pellegrinaggi più celebri della storia, lunghissimo filo di oltre 700 chilometri, che trasporta fino a Compostela, come su un tapis roulant, le migliaia di ‘peregrinos y peregrinas’ che continuamente in bicicletta, a cavallo, ma soprattutto a piedi, lo percorrono. Anche in Sicilia esistevano nel Medioevo numerosi percorsi intrapresi dai pellegrini che intendevano recarsi a Messina e da lì a Roma e a Santiago da una parte o imbarcarsi per Gerusalemme dall’altra, attraverso un sistema di itineraria peregrinorum, caratterizzati dalla presenza di hospitalia, posti di ospitalità, a circa 20-30 Km. uno dall’altro. L’esistenza di un vero e proprio fascio di Vie Francigene sicule è stata provata dallo storico Giuseppe Arlotta, autore del volume ‘Guida alla Sicilia Jacopea’ pubblicato dal Centro Italiano di Studi Compostelani, di cui egli è responsabile per la Sicilia. Sulle orme dei pellegrini medievali, alcuni anni fa la Confraternita di San Jacopo di Compostela ha percorso a piedi un tratto della via Francigena siciliana che conduce da San Giacomo di Camaro (Messina) a San Giacomo di Caltagirone, due punti emblematici della tradizione compostelana in Sicilia. Le otto tappe, per un totale di 230 Km, hanno toccato Spadafora, Castroreale, Tripi, Floresta, Bronte, Paternò, e Ramacca.
Come spesso accade in Italia, sono itinerari di straordinaria ricchezza artistica. “Tra le nostre finalità – dichiarò il Prof. Caucci, Rettore della Confraternita – vi è anche quella di valorizzare il patrimonio culturale legato a San Giacomo presente in Sicilia.”. Lungo il percorso infatti numerosi sono i centri siciliani che hanno chiese e opere d’arte dedicate a San Giacomo, un culto che fu grandemente potenziato ad opera degli spagnoli. Ingenti somme furono investite nei due monumentali fercoli processionali argentei di Camaro e di Caltagirone, entrambi del XVII secolo, opera di Pietro Juvarra il primo e di Nibilio e Giuseppe Gagini il secondo. Illustrano scene e miracoli della vita del Santo, raffigurate anche nei dieci riquadri laterali dell’opera pittorica del XV secolo conservata nella chiesa di San Nicolò a Randazzo.
San Giacomo era patrono della Spagna e simbolo stesso della Reconquista contro i Mori che aveva reso possibile l’unificazione della nazione; l’antica nobiltà spagnola voleva esercitare un controllo sull’operato del re e considerava San Giacomo il simbolo della potenza ispanica fondata sulla fede e sulla spada. Nella Spagna del ‘600 si creò quindi una frattura fra questi aristocratici e i marrani (ebrei e musulmani conversi) di recente nomina regia che erano solidali con il re. Le decisioni religiose seguivano pedissequamente quelle politiche: l’ebrea conversa Santa Teresa di Avila fu proclamata compatrona della Spagna nel 1627, ma nel 1630 il patronato fu restituito a S. Giacomo, e infine il re Filippo IV nel 1643 ordinò che patrona e protettrice di tutti i suoi regni fosse proclamata la Madonna.
La Sicilia seguiva a ruota le vicende della ‘Catolicissima Spagna’: in molti paesi dell’isola il patronato di San Giacomo fu sostituito da quello della Madonna ma il culto di San Giacomo conservò una certa importanza. Dalla rivolta antispagnola del 1674 in poi, durante la processione del 25 luglio a Messina, iniziò la consuetudine di togliere la statua del Santo dal fercolo e, in segno di sottomissione, di sostituirla con una teca con un capello della Madonna: era un segno del cambiamento dei tempi e la sostituzione avviene tuttora puntualmente ogni anno.
La più antica immagine di San Giacomo in Sicilia risale al XII secolo e si trova nell’oratorio bizantino di Santa Lucia di Siracusa. E’ molto antico (XIV secolo) anche l’affresco recentemente ritrovato a Modica nella chiesa di S. Nicolò inferiore che rappresenta San Giacomo con gli arti tagliati, accogliendo una tradizione orientale molto diversa da quella di Compostela che tradizionalmente rappresenta il Santo come matamoros, cioè nell’atto di calpestare con gli zoccoli del cavallo le teste dei mori sconfitti.
Nell’iconologia più comune in Sicilia il Santo viene raffigurato come un pellegrino con un bastone. Il Santo ha come segno distintivo anche un cappello a larghe falde in molte delle statue devozionali, tra le quali si segnalano quelle di Antonello Gagini del Museo Pepoli di Trapani e del Museo Diocesano di Palermo e quella di Vincenzo Archifel a Caltagirone. Teresa Pugliatti ha attribuito a Stefano Giordano piuttosto che al suo maestro Polidoro da Caravaggio ‘San Giacomo in cammino’, un dipinto del XVI secolo conservato nel villaggio di Camaro, presso Messina. La studiosa ha ampiamente giustificato tale attribuzione con strani piccoli arbusti secchi presenti sia in questo che in altri dipinti del Giordano, e con la particolare sommessa malinconia che caratterizza molte sue opere. Tra le opere di oreficeria, accuratamente esaminate da Maria Concetta Di Natale, è particolarmente prezioso il ‘pendente dei cavalieri’, oggi al Museo Pepoli di Trapani. Molti di questi studi sono inclusi negli Atti del Convegno internazionale di Studi ‘San Giacomo e la Sicilia’, pubblicati a cura delle Edizioni Compostellane.
Numerose sono le chiese siciliane dedicate al Santo: quando è patrono del paese, esse sorgono generalmente nella piazza principale, altrimenti per lo più si tratta di chiesette che anticamente furono costruite fuori città per accogliere i pellegrini in viaggio verso Compostela. Dopo la fine del regime spagnolo e il conseguente declino del culto del Santo, alcune di queste chiese cambiarono nome o furono abbandonate, e le statue furono trasferite altrove. Quella di Corleone, seriamente danneggiata dal terremoto del Belice, è chiusa dal 1968.
Del complesso sistema di assistenza ai pellegrini in transito lungo gli itineraria peregrinorum medievali, erano parte integrante gli ospedali; l’ospedale di Licata è tuttora intitolato a San Giacomo di Altopascio, mentre a Palermo la facciata dell’ex ospedale di San Giacomo, oggi Legione dei Carabinieri a Piazza della Vittoria, è decorata da grandi conchiglie scolpite, simbolo del Santo. Si è così perpetuata nel tempo la tradizionale associazione del Santo con gli eserciti (in Corso Pisani esiste anche la parrocchia di San Giacomo dei Militari). A Palma di Montechiaro una delle sale del palazzo ducale dei Tomasi era dedicata a San Giacomo e Giulio Tomasi, il celebre ’Duca Santo’ del Gattopardo, era cavaliere di San Giacomo: un ritratto tuttora esistente nella cattedrale di Palma lo mostra insignito della spada rossa dell’Ordine. La stessa spada con l’elsa a croce gigliata compare anche nello stemma nobiliare dei Tomasi, e nei ritratti dei Vicerè Garcia di Toledo marchese di Villafranca e Lorenzo Suarez duca di Feria e di altri personaggi nobiliari presenti a Palermo nella Biblioteca Comunale, nella Sala dei Vicerè del Palazzo Reale e nella quadreria di Palazzo Butera.
Il culto di San Giacomo aveva iniziato a diffondersi in Sicilia tra il XII e il XIV secolo, subito dopo la conquista normanna: secondo Goethe l’intera Europa si era formata nel cammino verso Santiago.
Un culto che raggiunge oggi la sua apoteosi nella festa che si svolge annualmente a Caltagirone fra il 23 e il 25 luglio, quando il braccio reliquiario viene portato in processione dentro l’imponente cassa argentea, e migliaia di coppi in ‘carta briglia’ sono accesi simultaneamente dai fedeli con un bastoncino a lenta combustione (buceddu) formando suggestive immagini sulla celebre scala di S. Maria del Monte. In alcuni paesi la festa del Santo è stata spostata ad altre date, per esempio a Gratteri dove è celebrata l’8 e 9 settembre per consentire la fine dei lavori di mietitura, e a Geraci dove viene unita a quella di San Bartolomeo il 24 agosto.
A Cammarata fino alla fine dell’800 la confraternita di San Giacomo aveva un pesantissimo gonfalone che era causa di continue e violente contese, finché l’arciprete Manno, irritato dal comportamento dei confrati, lo calpestò e lo distrusse per sempre.
Una reliquia della giuntura del dito di San Giacomo era attestata a Capizzi nel 1431, ma nel 1435 essa fu trasferita a Messina scatenando l’ira della popolazione, che tuttora ogni anno il 26 luglio usa il fercolo del Santo come ariete per distruggere un muro che in origine rappresentava la casa di Sancho Heredia, colpevole di aver eseguito il perentorio ordine di Alfonso il Magnanimo. A Sclafani c’erano un tempo profondi contrasti tra la confraternita di San Giacomo e quella di San Filippo circa l’ordine con il quale esse dovevano uscire in processione, finché nel 1623 le due confraternite rivali si piegarono a un vero e proprio ‘atto di concordia’ davanti al notaio.
Esistono tuttora in Sicilia sette Confraternite intitolate a San Giacomo, tutte penitenziali, e quella di Camaro presso Messina ha perfino creato un apposito piccolo museo. In passato i confrati non esitavano ad affrontare grandi sofferenze fisiche: nella sagrestia della chiesa madre di Castiglione è tuttora conservata la ‘pietra al collo’ (‘a petra ‘o coddu), una grande pietra lavica del peso di 8 Kg. dotata di un foro in cui fare passare la corda, che i confrati in penitenza si legavano al collo facendo il giro di tre altari, percuotendosi con una catena e recitando il mea culpa.
Pitrè riferisce la credenza che l’anima dopo la morte dovesse andare in Galizia e salire in cielo per il violu di San Jabbicu, cioè la Via Lattea. Il viaggio a Compostela era molto faticoso ed estremamente pericoloso a causa dei malviventi che depredavano i pellegrini di tutti i loro beni, si diffuse così la figura del pellegrino vicario, una persona che, così come era contemplato dalla liturgia penitenziale, si metteva in cammino dietro compenso di denaro elargito dal penitente che così espiava i suoi peccati.
Nel 1402 Eleonora d’Aragona dispose nel suo testamento di mandare a tale scopo tre persone a Compostela ed è esemplare il caso del possidente termitano Giacomo de Aricio che nel 1436 obbligava le figlie per testamento a pagare un pellegrino perchè andasse a Santiago in sua vece per sciogliere un voto da lui non adempiuto per negligenza. Era inoltre possibile sostituire Compostela con una meta siciliana. Per evitare le miriadi di spade affilate su cui pensavano di dover camminare nell’aldilà, i devoti camminavano a piedi scalzi sui sassi dei greti dei fiumi: era il dolorosissimo viaggiu a San Jabbicu che fino a 50 anni fa si compiva presso Modica e altre località.
Molte le credenze e le superstizioni legate al Santo: a Messina le mamme fanno passare i bimbi fra i piedi del fercolo perchè credono che in tal modo cammineranno presto. Un’antica leggenda narra di un galletto era stato cucinato da un oste ma era risorto grazie a San Giacomo per dimostrare l’innocenza di un pellegrino diretto a Santiago che era stato accusato ingiustamente di furto e impiccato dopo aver rifiutato le profferte amorose della figlia dell’oste. Per ricordare l’evento, fino agli anni ’30 sulle mura esterne della chiesa di San Giacomo a Geraci Siculo, si appendevano dei galletti vivi che divenivano il bersaglio di tiratori armati di sassi. Il povero galletto, così miseramente lapidato, veniva poi mangiato in famiglia per devozione a San Giacomo.