I Santuari a Trapani
Dopo il suo passaggio, il luogo diviene conosciuto come luogo dove quell'uomo o donna hanno soggiornato o vi sono dei resti che ricordano il suo essere santo.
La parola ha raggiunto importanza e significato dal punto di vista storico.
Perciò il santuario si presenta come uno spazio sacro al pari di tutti gli altri luoghi di culto, ma indissolubilmente legato alla propria posizione, sede di una determinata manifestazione del sacro.
Con questo, a differenza da altri luoghi di culto, il santuario è connesso al fenomeno religioso del pellegrinaggio.
Troverai i contatti e le indicazioni per visitare il santuario, le strutture nelle vicinanze dove poter mangiare o dormire in modo da organizzare al meglio il tuo soggiorno.
Santuario di San Vito Martire, San Vito Lo Capo
Il Santuario di San Vito sorge sull'omonima piazza, nel centro storico del paese.
Attorno alla prima cappella dedicata al santo martire sia stata, costruita la chiesa fortezza per proteggerla dagli attacchi dei pirati e per ospitare in sicurezza tutti quei fedeli giunti da lontano.
L' edificio presenta elementi architettonici molto diversi tra loro: elementi di costruzione civile, militare e religiosa. In questo edificio infatti troviamo le feritoie, il rosone della facciata e i balconi, la torre di avvistamento e le nicchie votive, elementi che pur essendo così diversi, si fondono bene tra di loro.
L'interno colpisce per la bellezza dell'antico Altare, l'elemento che meglio caratterizza la chiesa. Sull'altare possiamo ammirare entrando la bellissima statua del 1500 che raffigura il raffigurante il Santo giovinetto, realizzata in marmo e attribuita al famoso scultore Gagini.
San Vito Lo Capo comune del Libero Consorzio Comunale di Trapani, 6 m s.m., patrono san Vito 15 giugno.
Centro situato a W del golfo di Castellammare, delimitandone l'inizio della vasta insenatura che da Capo San Vito si apre fino a Capo Rama,
parte del territorio è compresa nella Riserva Naturale dello Zingaro.
Il centro si sviluppa intorno al santuario dedicato a San Vito, eretto nel sec. XIII, nell'antica fortezza.
La chiesa madre conserva l'impianto quadrangolare fortificato conferitogli nel Cinquecento.
Rinomata località di turismo balneare, dalle incantevoli spiagge e dotata di un porticciolo turistico, le principali attrazioni il “Festival del cuscus” a settembre vede la partecipazione di
cuochi provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo
Santuario di Sant’Anna, Erice
Sant’Anna sappiamo tutti è la madre della vergine Maria, quindi la nonna di Gesù. Alcune notizie circa la sua vita ci giungono dal protovangelo di Giacomo. Sposata con San Gioacchino non poteva aver figli finchè il Signore la riempie di gioia con la nascita di Maria. La nascita tardiva della figlia ha posto Sant’Anna come protettrice delle donne che attendono un figlio.
Nel territorio di Trapani, Erice, Valderice, Paceco la devozione verso questa sant’Anna si è diffusa soprattutto attraverso il santuario omonimo, che si trova sulla collina legata al monte Erice.
La costruzione del santuario risale ai primi anni del ‘600, ma già circa 60 anni dopo si hanno notizie di un ampliamento per ospitare una comunità di frati Agostiniani Scalzi che non si sono mai stanziati in questo luogo per difficoltà sopraggiunte.
Dal 1992, nel santuario, vi è stata la presenza di una comunità di vita contemplativa delle Figlie di sant’Anna Adoratrici Perpetue, presenza che si è conclusa nel 2011. Ogni domenica viene celebrata l’ Eucaristia alle ore 9.30. Durante l’anno specialmente in estate si svolgono momenti di spiritualità .
Erice comune della cttà metropolitana di Trapani, 751 m s.m., patrono Madonna di Custonaci ultimo mercoledì di agosto,
all'estremità occidentale della Sicilia, sulla sommità del monte San Giuliano, a dominio di un panorama che spazia sulle isole Egadi
Il borgo siciliano di Erice, il monte su cui sorge è stato, in tempi remoti, sede del culto di una dea della fecondità, adorata col nome di Astarte dai
Fenici, che vi costruirono un tempio.
Afrodite per i Greci, la dea che dal monte Eryx – punto di riferimento per i naviganti – proteggeva chi andava per mare, era per i Romani la Venere Ericina, deputata anche all’amore.
La notte, un grande fuoco acceso nell’area sacra fungeva da faro.
La fama di Venere Ericina divenne tale che le fu dedicato un tempio anche a Roma e il suo culto si diffuse in tutto il Mediterraneo.
Ciò che resta oggi dell’antico castello di Venere è opera dei Normanni (XII-XIII secolo) che per la sua costruzione reimpiegarono probabilmente il
materiale proveniente dal tempio della Venere Ericina. Il castello era recintato da torri collegate fra loro da due cortine merlate e da un ponte
levatoio, lo stesso di cui parlò nel 1185 il geografo arabo Ibn-Jubayr.
Accanto alle torri si trova il Balio, bellissimo giardino all’inglese da dove si gode un panorama che comprende da una parte la costa tirrenica del
golfo di Trapani, dalla particolare forma a falce, e il monte Cofano, dietro il quale si intravede la punta di San Vito lo Capo; dall’altra parte il porto
di Trapani con le sue saline, le isole Egadi e l’isola di Mozia fino a Mazara del Vallo. Nelle giornate più luminose si scorgono Capo Bon e la costa
africana, e i Fenici sembrano ancora vicini.
Incrocio di culture, Erice ospita, poco sotto le tre torri del castello, nella torretta fatta costruire nel 1873 dallo studioso e mecenate conte Agostino
Pepoli come rifugio silenzioso per le sue meditazioni, l’Osservatorio permanente di Pace.
Erice è dunque tornata ad essere «Faro del Mediterraneo» riscoprendo la sua antica vocazione di bussola per i naviganti.
Il percorso di visita del borgo può iniziare da Porta Trapani, oltre la quale si apre il corso Vittorio Emanuele che porta alla piazza centrale.
Lungo il corso, e nelle viuzze intorno, sfilano le facciate barocche dei palazzi e le emergenze principali,
dalla chiesa di San Martino, di origine forse normanna e rifatta alla fine del Seicento,
all’impianto urbanistico medievale che circonda la chiesa di Sant’Albertino degli Abbati, pure secentesca. Altre chiese da vedere sono quella di
San Giuliano, anch’essa di origine normanna (1080) e ristrutturata nel Seicento, e quella di San Cataldo, che custodisce opere del grande scultore siciliano
Antonello Gagini e della sua bottega.
Le stradine intorno al secentesco monastero di San Carlo, come la via La Russa e la via San Carlo, sono di grande fascino. Al centro del reticolato medievale
si trova il complesso di San Pietro con chiesa tardo trecentesca rifatta nel 1745 e monastero.
Da via Guarnotti si entra in piazza San Domenico, da dove ci si immette in via Cordici per raggiungere piazza Umberto, su cui si affacciano il Municipio, la
Biblioteca Comunale e il Museo Antonio Cordici.
Costeggiando il retro di palazzi del Sei-Settecento si arriva alla chiesa Madre, che sta di fronte alle mura ciclopiche del periodo elimo-fenicio (VIII VII sec. a.C.).
Eretta nel 1314 per volere del re Federico d’Aragona che si rifugiò a Erice durante la guerra del Vespro, presenta un campanile quadrangolare
con bifore che aveva funzione di torre di avvistamento, le originarie forme gotiche all’esterno e, nella parete destra, nove croci
provenienti, secondo la tradizione, dal tempio di Venere.
Merita infine un cenno il Quartiere Spagnolo, sorto nel XVII secolo, quando con la dominazione spagnola in Sicilia vige
Santuario Madonna dei Miracoli, Alcamo
Edificato nel 1547, nel luogo in cui, nello stesso anno, fu ritrovata l’icona della Vergine in una cappelletta sotterranea, il santuario fu ristrutturato all’inizio del ‘700. L’interno, a navata unica, è decorato con gli stucchi di Nicolò Curti e le tele del pittore ottocentesco Giuseppe Patania.
Secondo la tradizione, nel 1547 si verificò un evento miracoloso: due lavandaie, una cieca e una sorda, che si trovavano presso un ruscello, colpite dai sassi smossi dall’apparizione di un donna con un bambino, guarirono miracolosamente: il giorno dopo si rinvenne nei pressi un’immagine della Vergine. Don Ferdinando De Vega, castellano e capitano di giustizia di Alcamo, intorno alla metà del secolo XVI, fece erigere un santuario nel luogo miracoloso.
Edificata nel 1547, sorge nel vallone del Mulinaccio ai piedi di una parete dove sorgeva l’arco rustico denominato “la Cuba”, di piccole dimensioni, è ad unica navata con pianta rettangolare e con una cappella centrale dietro l’altare.
L’interno è abbellito con stucchi e marmi lavorati, con statue e tele di artisti poco noti, mentre all’esterno si presentano semplici decorazioni in stucco che ornano l’ingresso principale e la porta laterale. Rosoni di ottima fattura corrono lungo il cornicione. Pur essendo questi ornamenti semplici e di non grande valore artistico, rappresentano tuttavia una testimonianza artistica dell’architettura siciliana del XVI secolo. Sul prospetto principale si trovano alcune iscrizioni in latino.
Vicino all'entrata principale, sulla sinistra, si trova un sarcofago manierista in marmo scolpito da Rocco di Rapi nel 1557, contenente i resti di Don Fernando Vega.
Sulla destra, vicino all'ingresso principale, è visibile un'acquasantiera, probabile opera del XVII secolo, in marmo bianco.
Sulla parete destra della navata si trova un bellissimo medaglione in marmo che rappresenta Giuditta del Gagini e che proviene dall'chiesa dell'Annunziata.
Santuario Madonna del Paradiso, Mazara del Vallo
Il culto in onore di Maria SS.del Paradiso, praticato a Mazara sin dall’inizio del XVIII secolo, ricevette un impulso nel 1797 per opera dei padri Liquorini, che furono invitati a tenere un corso di esercizi spirituali.
Fu proprio il 3 Novembre del 1797, verso le ore 21, che la Beata Vergine, mesta d’aspetto e dolente, si degnò volgere i suoi occhi misericordiosi verso gli astanti. Ripetutosi varie volte il prodigio durante la notte ed il giorno seguente, fu disposta la traslazione della sacra immagine alla Cattedrale. Cosa che fu fatta con grande solennità e con grandissima partecipazione di popolo. Durante la veglia notturna ed il giorno seguente, il prodigio lasciò esterrefatti i presenti, perché la Beata Vergine a volte abbassava gli occhi, a volte li innalzava, qualche volta li girava a destra o a sinistra e li fissava sugli astanti, altre volte li chiudeva e li riapriva.
Il prodigio si ripeté nel collegio di S. Carlo e nei monasteri di S. Caterina, di S. Veneranda e di S. Michele. Qui il prodigio ebbe dell’inimmaginabile; si poté infatti constatarlo per ben 24 ore di seguito.
Dal 10 dicembre 1797 a tutto il mese di giugno dell’anno seguente, fu celebrato, per ordine del Vescovo, il processo di questo mirabile prodigio, a prova della sua veridicità. Il Vescovo, che ebbe pure lui il privilegio di osservare il prodigio, supplicò il Capitolo Vaticano di coronare l’immagine della Madonna secondo il legato di Alessandro Sforza. Il Capitolo Vaticano, il 10 aprile 1803, decretò l’incoronazione, che ebbe luogo a Mazara il 10 luglio 1803.
Il movimento degli occhi della Sacra immagine, si è rinnovato e ripetuto il 20 ottobre 1807 testimone Don Giuseppe Maria Tomasi, dei principi di Lampedusa. Nel santuario si ripeté nel 1810, ancora il 21 gennaio 1811, il 5 marzo 1866 ed altre volte.
La Madonna del Paradiso è patrona della Diocesi e compatrona della Città di Mazara del Vallo.
Dal 1515 sorgeva nelle vicinanze la chiesetta dedicata alla Vergine del Rosario e il conventino, per un secolo gestiti a vario titolo dai Padri Domenicani. Dopo una breve reggenza dei Padri Carmelitani, la chiesa fu chiusa e il conventino divenne sede della Inquisizione della diocesi.
A questa chiesa indirizzò la sua attenzione il vescovo, che non risparmiando fatiche, spese, ed anche con il concorso del popolo, trasformò, aggiungendovi l’abside, quattro sfondi laterali con relativi altari. La chiesa è ad un’unica navata: nell’alto dell’abside sopra l’altare venne incastonato il prezioso quadro in una cornice marmorea sorretta da due angeli. Nell’abside sono collocati quattro quadri (Annunciazione, incoronazione, primo prodigio e quello della cattedrale), opere che il Gianbecchina ha realizzato per il santuario negli anni cinquanta del secolo scorso. Negli altari laterali sono esposti alla venerazione tre quadri del 1700: S. Vito, S. Sebastiano, Madonna del Rosario.
La volta maestosa e le pareti sono dipinte a grandi affreschi allegorici. Il frontone alto e semplice richiamano linee settecentesche. Il Campanile, costruito a fianco della chiesa a pianta quadrata, è di stile barocco. Sovrasta la cella campanaria una torretta ottagonale con piastrelle colorate. La chiesa fu consacrata ed aperta al pubblico il 06.11.1808. Fu proclamata Santuario il 9.7.1978 da sua Ecc. Mons. Costantino Trapani. La chiesa non è meta solo dei fedeli e devoti della Madonna, ma anche di numerosi pellegrini provenienti da ogni parte del mondo.
Tra i tanti personaggi illustri che hanno sostato in preghiera ai piedi della Madonna nel santuario, perché non vada perduta memoria ricordiamo la regina Maria Carolina e il principe Leopoldo nei giorni 9 e 13 giugno 1813.
Festività liturgica il 4 novembre; festività cittadina la 2 domenica di luglio.
Santuario Madonna del Soccorso, Castellammare del Golfo
Il santuario intitolato a Maria SS. del Soccorso fu edificato nel periodo 1726-1736.
La struttura, a tre navate, presenta all’esterno la facciata con il grande portone centrale ed i due laterali.
All’interno campeggia la volta centrale adornata da preziosi affreschi del 1767.
I due laterali mostrano scene della Bibbia, mentre quello centrale raffigura il dogma dell’Assunzione.
Nel santuario sono custodite pregiate opere d’arte: un antico Crocifisso in legno che sovrasta l’altare maggiore, un’acquasantiera del 600 in marmo rosso e l’eccelso simulacro della Madonna del Soccorso.
In occasione dei festeggiamenti la sacra effigie è portata sull’imbarcazione che la condurrà in una solenne Processione in mare.
A Castellammare del Golfo il 19-20-21 agosto si festeggia la Madonna del Soccorso, patrona della città.
Uno degli avvenimenti più significativi riguarda la rievocazione di una storica battaglia navale tra Inglesi e Spagnoli, avvenuta nel 1718 proprio nello specchio d’acqua antistante il litorale di Castellammare.
La tradizione racconta che gli Inglesi erano riusciti ad abbattere le difese spagnole ed approdare sulla spiaggia.
Gli abitanti spaventati allora invocarono l’aiuto della Madonna.
Questa apparve ai soldati inglesi vestita di bianco e circondata da uno stuolo di angeli, spingendoli alla fuga.
Da qui deriva l’appellativo di Madonna del Soccorso.
Personaggi in costume d’epoca, fuochi d’artificio ed appositi effetti sonori permettono di ripercorrere gli eventi storici simulando la battaglia in mare e l’incendio del castello.
A questo segue poi l’apparizione della Madonna dall’alto della collina.
Dopo che gli Inglesi fuggono dalla città, il popolo in festa accompagna la sua Salvatrice in processione, attraverso le vie del paese, fino alla spiaggia dove ogni pescatore sale sulla sua barca per un processione in mare.
Molto bella l’atmosfera creata dai giochi pirotecnici.
Santuario Madonna dell’Alto, Mazara del Vallo
Il Santuario di Maria Santissima della Scala
Il santuario è ubicato alle pendici del Monte Inici a Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani. Al suo interno si venera la miracolosa immagine della Madonna della Scala, opera del pittore castellammarese Giovan Battista Di Liberti.
La Vergine della Scala, a Castellammare, viene anche chiamata Madonna delle Scale in quanto la zona dove sorge il santuario si chiama le scale.
L’avvenimento e l’edificazione
Il 7 settembre 1641 al far della sera si scatenò un furioso temporale su Castellammare del Golfo. Una pastorella di nome Maria D’Angelo pascolava il gregge nella montagna di Castellammare e volendo ripararsi dalla pioggia, che veniva giù in grande abbondanza, si andò a rifugiare in una sorta di grotta che un fulmine poco prima caduto aveva scavato. All’interno di questa grotta, in attesa che il temporale cessasse, la pastorella trovò una scatoletta di rame tutta arrugginita e curiosa, decise di aprirla. All’interno vi trovò un altro scatolino in argento sigillato, in cui era inciso il monogramma della Vergine ed una croce. Il temporale allora cessò per incanto e i genitori della pastorella credendo già morta la povera ragazza, con fiaccole accese andavano in cerca di lei. I genitori aiutati da altri abitanti di Castellammare, pieni di stupore, la trovarono rannicchiata nella grotta mentre pregava e contemplava il tesoro trovato.
Dell’accaduto fu subito avvisato l’arciprete di Castellammare del Golfo, Francesco Di Maria, il quale immediatamente con gran folla di popolo si recò sul posto del ritrovamento. All’arrivo dell’arciprete fu aperta la scatola e all’interno si trovò una croce in argento e un piccolo reliquario contenente l’immagine della Madonna con il Bambino Gesù in braccio, adorno d’oro e gemme.
Sul luogo, per interessamento dei padri Benedettini, fu presto innalzato un piccolo santuario con l’intenzione di fabbricarci accanto un piccolo convento per la custodia di esso. Alla Vergine fu dato il titolo di Madonna della Scala perché il luogo dove fu trovata l’immagine si chiamava e tutt’ora si chiama le scale.
Dell’antico reliquario se ne fece subito una copia fedelissima in argento, ma se ne persero le tracce sia dell’originale che della copia.
Nell’estate del 1976, poiché il santuario ridotto strutturalmente in condizioni pessime, il castellammarese Sebastiano Lo Giudice emigrato in America, provvide a proprie spese a un restauro. Nell’anno successivo, però, un incendio provocò la caduta del tetto ligneo della sacrestia e segni evidenti di combustione furo trovati anche all’interno del santuario e persino nelle vicinanze della sacra immagine. L’origine di questo incendio non venne mai accertata. Il centro Paolo VI allora operante a Castellammare con sede in corso Garibaldi, provvide subito alle riparazioni e ai restauri e, fra l’altro, finanzio il rifacimento in cemento armato della copertura della sacrestia.
A partire dal 1998 il santuario, nuovamente ridotto in condizioni pessime, fu interamente restaurato per iniziativa di Giacomo Navarra e con il contributo di alcuni castellammaresi emigrati in America. A questo restauro si deve il rifacimento della scalinata che dalla via porta fraginesi conduce al santuario.
Dopo la devozione alla Madonna del Soccorso, l’altra grande devozione mariana di Castellammare del Golfo è senza dubbio quella verso la Madonna della Scala. Infatti, diversi sono i riti e le tradizioni legate attorno a questa Madonna e ogni anno si svolge una caratteristica festa in suo onore.
In seguito al ritrovamento della sacra immagine si racconta che la Madonna sarebbe apparsa in sogno alla madre della piccola pastorella e avrebbe chiesto di condurre in pellegrinaggio, un piccolo corteo di ragazze non ancora sposate fino al luogo del ritrovamento, dove verrà eretto il santuario. La donna, alla richiesta della Vergine obbedì e il sabato successivo invitò 9 giovani donne alle quali, prima di condurle al santuario, offrì tagghiarini (tagliatelle) con le fave. La stessa pastorella (Maria D’Angelo), aiutata da alcune religiose benedettine, per invitare le 9 vergini raccolse per le strade di Castellammare delle elemosine, in modo da poter ripetere il rito ogni sabato.
Da allora, il popolo di Castellammare iniziò a praticare, in onore di questa Madonna, il tradizionale voto delle virginedde. Si trattava di invitare a pranzo in casa propria alcune giovani donne nubili, spesso richieste alle suore e prelevate agli orfanotrofi. Al pranzo, di solito a mezzogiorno, venivano preparate le tradizionali tagliatelle (Tagghiarini) abbondantemente cotte con le fave e servite sullo scannaturi (una tavola di legno utilizzata per impastare). La pasta con le fave veniva mangiata con le mani e mentre si mangiava, spesso, si gridava: viva la Bedda Matri di la Scala, viva!. Finito il pranzo, ci si recava al santuario in montagna, dove si recitava il rosario e si cantavano alcuni canti religiosi e infine un ragazzo saliva nel campanile e suonava ininterrottamente. Una volta finito il rosario e fatto il voto ci si recava al belvedere nella cappella dell’apparizione della Madonna del Soccorso del1718.
In passato, un’altra tradizione legata alla Madonna della Scala era la ciacculata che si svolgeva la vigilia dell’8 settembre, festa della natività della Vergine Maria.
Il pomeriggio del 7 settembre, i castellammaresi, recatisi in montagna raccoglievano mazzi di buse dai cespugli di disa, che in quel luogo cresceva e ancora oggi cresce. Una volta presa una certa quantità di buse venivano raggruppate e legate con dei lacci per poi essere portate in pellegrinaggio. Il pellegrinaggio si svolgeva al calar della sera del 7 settembre e si snodava per la via porta fraginesi fino al santuario. Ognuno dei presenti aveva la propria fiaccola alla quale dava fuoco e portava in pellegrinaggio. Particolarmente suggestivo era, osservare tutti questi fuochi che si muovevano sulla montagna e in mezzo al buio.
Questa antica tradizione ricordava ciò che la sera del 7 settembre 1641 era accaduto, quando i genitori della pastorella Maria D’Angelo assieme ad altri cittadini con della fiaccole accese andavano in cerca di lei.
La festa oggi
Oggi sia il voto delle virgineddi che l’antico rito della ciacculata sono completamente scomparsi ma annualmente viene organizzata in piazza Porta Fraginesi una suggestiva festa, curata dal comitato festeggiamenti Maria Santissima della Scala.
Precedentemente all’8 settembre, solennità della Vergine della Scala, al calar della sera si svolge la novena dove viene intonato il rosario della Vergine in dialetto castellammarese.
Solitamente, la sera del 6 settembre, dopo la santa messa nella Chiesa di Sant’Antonio di Padova si svolge il pellegrinaggio fino al santuario in montagna. Segue il tradizionale assaggio della pasta con le fave che viene offerta ai numerosi devoti presenti, che per l’occasione arrivano anche dai paesi vicini.
Diverse sono le iniziative ricreative che vengono organizzate in occasione di questa festa come spettacoli, concerti, balli e sfilate di abiti da sposa.
I festeggiamenti culminano l’8 settembre con la tradizionale e partecipatissima processione per le vie cittadine e i fuochi d’artificio. La sacra immagine viene posta su una varetta e dal santuario viene discesa in piazza porta fraginesi, dove si svolge la santa messa.
Caratterizzano i giorni precedenti alla festa un pellegrinaggio ininterrotto di devoti che a piedi si recano fino al santuario.
La Sacra Icona
Il santuario di Maria Santissima della Scala sorge a circa 200 metri di altezza dal livello del mare, alle pendici di Monte Inici. Si trova pochi metri più a valle del belvedere castellammarese, appena sopra l’abitato, ed è raggiungibile solo a piedi attraverso una lunga scalinata composta da 147 scalini.
Fonte: Wikipedia
Santuario Madonna della Libera, Partanna
Il Santuario, situato in Contrada Montagna, è un moderno edificio a pianta ellittica in cemento armato realizzato nel 1980 su progetto dell’architetto Baldassare Antonimi.
Sorge sulle rovine dell’ottocentesca chiesa dedicata alla Madonna della Libera, crollata in seguito al terremoto del gennaio 1968. La dedicazione si deve ai “ficarara”, famiglie che in estate si dedicavano alla preparazione dei fichi secchi e che si riunivano in preghiera in questa piccola chiesetta rupestre, originariamente nata come voto alla Vergine e come auspicio per la liberazione dagli spiriti malvagi.
L’impianto planimetrico nelle linee curve della struttura ripropone la forma di due braccia che poggiando a terra, congiungono le mani verso il cielo, in segno di preghiera. E’ ritenuto un vero gioiello architettonico con uno svettante campanile, all’interno un gruppo ligneo del 1929, di Ferdinando Stuflesser: La Madonna libera una giovane dalle fiamme.
Culto della Madonna della Libera
In occasione della Festa della Madonna della Libera, che si celebra la prima domenica di ottobre, il Santuario è meta di sentiti e partecipati pellegrinaggi, non solo dei partennesi, ma anche di fedeli provenienti dai paesi vicini. Il culto si affermò nel XIX secolo, in seguito ad un episodio miracoloso del quale fu protagonista un commerciante palermitano che, derubato e incatenato da alcuni briganti, fu liberato dalla Madonna apparsagli con il Bambino in braccio.
Secondo la tradizione popolare, in accordo con alcuni dati storici, Partanna ebbe il pregio di ospitare una delle tante apparizioni mariane nel mondo, avvenuta fra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo.
Un commerciante di Palermo, appena giunto alle porte del paese belicino invocò la Madonna perché lo salvasse dall’aggressione dei briganti. Preceduta da una luce intensa e un assordante rumore di catene, Maria apparve dinnanzi agli occhi del malcapitato in piedi su una nuvola, liberandolo dai briganti che scapparono impauriti. In segno di ringraziamento, prima di fare ritorno a Palermo, il commerciate ordinò la costruzione di una chiesetta sul luogo in cui avvenne l’aggressione e apparve la Madonna Liberatrice.
Chiesetta ancora oggi esistente e denominata dai partannesi “Libera Vecchia”, in contrapposizione al nuovo Santuario dedicato alla Madonna che sorge un centinaio di metri più a sud. Quest’ultima struttura sacra, infatti, venne inaugurata nel 1982, grazie al prezioso interessamento, all’inizio, del dott. Rocco Parisi Asaro, in tempi più recenti di Mons. Caracci e dell’allora Sindaco di Partanna On. Vincenzino Culicchia.
Il Santuario oggi costituisce l’epicentro dei festeggiamenti, luogo in cui si celebrano le Sante Messe e dove si svolgono attività liturgiche di preparazione alla domenica. Il luogo dove si prega Maria, prostrati come l’uomo raffigurato sulla statua che, alle spalle dell’altare, La rappresenta nello stringere sulle ginocchia Gesù Bambino col braccio sinistro mentre con il destro libera una giovane dal male.
Il Santuario, inoltre, è la meta per eccellenza di quella che si è affermata ormai come la tradizione cardine della festa, ossia il pellegrinaggio. È sentimento comune fra i partannesi compiere in segno di devozione un pellegrinaggio a piedi – i più temerari persino scalzi – dalla propria abitazione, o da qualsiasi altro punto di partenza, diretti verso il Santuario della Madonna della Libera. Coinvolte anche le scolaresche, accompagnate da maestri, professori e dirigenti scolastici.
Santuario Madonna della Margana, Pantelleria
Il Santuario Maria Santissima della Margana è la chiesa rurale più antica dell’isola, essa risale infatti al passaggio di Carlo V in Sicilia. Il santuario è dedicato all’oggetto di culto in esso custodito, un’icona della Vergine che venne chiamata Madonna della Màrgana, ovvero protettrice dei campi, dall’arabo “marg” .
Le origini del luogo risalgono al 551 quando un gruppo di monaci basiliani si stanziarono in una precedente struttura di origini romane per farne un cenobio.
Il vecchio edificio era scavato nella lava con zone contornate da mura; al suo interno era anche decorato con raffinati mosaici. L’edificio che osserviamo oggi è stato costruito sopra il santuario precedente verso il 1700. La chiesa conserva le caratteristiche classiche della chiesa rurale del periodo con singola navata, volta a botte con tetto a capanna.
Al di sotto della pavimentazione si conservano sepolture che risalgono ai primi anni del secolo XIX e una cripta sul livello inferiore.
La Chiesa della Madonna della Margana viene già citata nel 1552, sappiamo dai registri parrocchiali del 1603 che molte persone venivano seppellite in questo luogo, probabilmente i fratelli delle Congregazioni. Nel 1678 sono già attive la Congregazione della SS. Addolorata e quella del S. Sacramento, che all’inizio del XX secolo si fonderanno con quella della Carità. L’icona della Madonna viene citata nel 1726, le è attribuita un’origine bizantina.
La leggenda narra che il quadro era a bordo di un velierio che, giunto a Pantelleria, non poté proseguire il suo viaggio, a causa di una tempesta. Dovendosi liberare del carico i marinai decisero di lasciare sulla spiaggia il quadro della Madonna. Fu poi caricato sul dorso di un asino per essere trasportato alla Matrice, ma giunto sul luogo in cui sorgeva la chiesa, l’animale si fermò, indicando così dove collocare il quadro.
In questa chiesa da maggio a ottobre viene conservata la bella icona della Madonna, patrona dell’isola, però l’ultima domenica di ottobre l’icona viene portata in solenne processione alla chiesa Matrice, per ritornare poi a maggio nella chiesa “campestre” sempre con processione molto partecipata dagli isolani.
Santuario Madonna di Giubino, Calatafimi Segesta
Il Santuario, risalente al 1495 circa, mantenuto da sapiente opera conservativa, si erge su di un colle dirimpetto le antiche rovine di Segesta.
Come un antico scrigno conserva, nella sua semplicità, un bassorilievo dell’epoca di Madonna con Bambino. Ma è la delicatezza del Suo materno sorriso che abbraccia il pellegrino e si imprime negli occhi del visitatore.
Legenda vuole che la nascita del Santuario sia dovuta ad una disputa con i vicini alcamesi, a seguito del ritrovamento del bassorilievo nel bosco che separa i territori di Alcamo e Calatafimi.
Il quadro, posto su di un carro trainato da buoi, fu per volere della Madonna stessa, portato a Giubino. Lì, infatti, si fermò il carro guidato dai soli animali. Era la fine del 1400 circa.
Per diverso tempo l’eremo fu abitato da frati conventuali francescani alla guida del Beato Arcangelo Placenza che a Calatafimi vide i suoi natali.
Se vi è luogo in zona dove la generosità della natura e l’operosità umana si sono felicemente completate, questo è il Giubino con il suo eremo, la magica grotta e la mediterranea vegetazione echeggiante di canti alati.
Il Santuario nasce come umile chiesetta campestre già nel 1500. Successivamente ampliata alle dimensioni attuali, ne conserva ancora la semplicità dello stile dell’epoca.
All’interno della chiesetta il bassorilievo marmoreo della Vergine è sicuramente un esempio del periodo aureo dell’arte siciliana quattrocentesca.
Il Santuario, posizionato ad una quota di circa 385 s.l.m., in direzione NORD permette di vedere il golfo di Castellammare del Golfo; a NORD-NORDEST il bosco di Angimbè, caratterizzato da macchia mediterranea con la sua sughereta e, nelle belle giornate, l’isola di Ustica; a EST-SUD-EST si intravedono i monti Sicani, nitida la loro cima più alta, Rocca Busambra, mentre a SUD-SUD-EST lo sguardo si estende fino alla provincia di Agrigento; a NORD-OVEST si può ammirare il tempio dorico di Segesta.
Santuario Maria Santissima Addolorata, Marsala
Il Santuario di “Maria SS. Addolorata” è la prima chiesa che si incontra entrando dalla Porta Garibaldi, una delle quattro antiche porte delle città di Marsala.
La storia di questa Chiesa ha qualcosa di miracoloso. Presso l’arco di Porta di Mare era posta una cappellina con una statua dedicata alla Madonna di Concezione. Qui molti fedeli si recavano per pregare la Santa Madre di Dio, soprattutto nei momenti di calamità.
Si narra che nell’inverno del 1691 si scatenò una spaventosa tempesta accompagnata da fulmini e tuoni che sconvolse l’intera popolazione.
La gente impaurita corse a cercare rifugio a Porta di Mare per supplicare la Vergine Immacolata di essere liberata da quelle terribile tempesta. Improvvisamente un fulmine con fragore immenso, dopo avere sfiorato diverse persone che si trovavano in preghiera, colpì a morte un cavallo che, per fatalità, alcuni momenti prima, un ragazzo aveva lasciato in quei pressi per fermarsi a pregare davanti alla S. Immagine.
Tutti gridarono al miracolo e, da quel momento il Simulacro fu soprannominato “Madonna del Fulmine”.
Il 14 luglio 1691 il popolo marsalese in segno di gratitudine alla Madonna, con il consenso del Senato della città e con le offerte raccolte, volle costruire sul luogo del miracolo, al posto della cappelletta, una chiesa.
Il nuovo tempio, sorto dalla ristrutturazione dell’armeria del vicino quartiere militare, era di forma rettangolare e aveva l’ingresso dall’atrio di Porta di Mare.
Nell’ottobre del 1750 la Congregazione dei Servi di Maria SS. Addolorata, fondata nel 1746 dal Sac. Gaspare Rallo, essendo cresciuta notevolmente di numero, con il permesso da parte del Senato, si trasferì dalla vicina chiesa di S. Giovanni di Rodi nella chiesa della “Madonna del Fulmine”.
La Sacra Immagine trovò la giusta collocazione nell’altare Maggiore.
Il 13 Settembre 1818 la Chiesa fu consacrata solennemente da Mons. Isidoro Spanò, Vescovo di Nemes, mentre il 10 Gennaio 1819 veniva aggregata “ad perpetuum” alla Patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore di Roma.
Il 15 Settembre 1997 Mons. Emanuele Catarinicchia, Vescovo di Mazara del Vallo, per accrescere sempre più la devozione verso la Vergine Addolorata, ha elevato la chiesa a Santuario Mariano Diocesano, riconoscendola ufficialmente “luogo di preghiera e di culto”.
Santuario Maria Santissima Annunziata, Trapani
Ai piedi del Monte San Giuliano, oggi Erice, sorge il Santuario mariano più importante della Sicilia occidentale: il Santuario di “Maria SS. Annunziata”.
Il complesso religioso, fin dai primordi, è stato officiato dai frati Carmelitani, giunti a Trapani nella metà del sec. XIII. Dove i Carmelitani dimorarono subito dopo il loro arrivo a Trapani, si stanziarono in un primo momento presso la piccola Chiesa di “Santa Maria del parto”, costruita dai pescatori nei primi decenni del XIII secolo vicino l’antica dogana, alle spalle dell’odierna Chiesa dell’ex Collegio dei Gesuiti. Poi, il 24 agosto del 1250, ricevute in donazione per mezzo di un atto notarile dal notar Domenico Ribaldo e dalla sua prima moglie donna Palma Donores, trapanesi, una piccola cappella, dedicata all’Annunziata e le terre adiacenti ad oriente, fuori le mura cittadine, si trasferirono là per continuare nella quiete della campagna la loro vita comune in ossequio a Gesù Cristo come fraternità contemplativa sulle orme di Maria e di Sant’Elia, il profeta del Carmelo, eremiti non più pellegrini, ora mendicanti itineranti in Europa in mezzo al popolo. Successivamente un’altra donazione, non meno consistente, avviene da parte della seconda moglie di Ribaldo, Donna Perna.
Il 1248-1250 sono gli anni in cui entra nel cenobio trapanese un santo figlio illustre: Sant’Alberto, parente degli Abate. Attraverso questo inaspettato e prodigioso avvenimento in seno alla nobile famiglia, verranno così offerti a favore dei Carmelitani altri possedimenti, per il loro sostentamento e per i lavori di ampliamento della primitiva Chiesetta. Così, per provvidenziale coincidenza, la storia del Carmelo trapanese inizia a legarsi indissolubilmente con la Famiglia degli Abate, favoriranno la realizzazione delle pregevoli strutture architettoniche e decorative del Santuario in gran parte giunte fino a noi grazie anche alle cospicue e pubbliche offerte di benefattori di ogni ceto sociale.
Nulla rimane di quanto era di natura architettonica o edilizia dell’originario cenobio carmelitano del sec. XIII nella tenuta degli Abbate. Esso venne via via trasformato , sino ad essere del tutto sostituito dal nuovo e grande complesso realizzato, con larghezza di mezzi, tra Cinque e Seicento.
L'interno, la navata, con sedici colonne e con stucchi argentati, fu trasformata nel 1742, su progetto dell'architetto trapanese Giovanni Biagio Amico, in stile barocco-rinascimentale. Un rosone a raggiera sovrasta il portale principale.
Santuario:
Cappella di Santa Teresa già di San Vito, lato vangelo, ambiente realizzato nel 1570, Cappella della Madonna di Trapani.
Arco trionfale, espressione del rinascimento siciliano il monumentale arco d'ingresso della Cappella della Madonna di Trapani, il portale marmoreo commissionato ad Antonello Gagini nel 1531 e completato dopo la sua scomparsa nel 1537, è frutto della collaborazione degli eredi, i fratelli Giandomenico, Antonino e Giacomo. Nei tondi dei pilastri sono scolpiti i profili di 10 Profeti, nei medaglioni dei pennacchi le raffigurazioni dell'Angelo Annunciante e della Vergine Annunciata, nel timpano la mezza figura di Dio Padre Onnipotente in altorilievo con globo crucigero nella mano sinistra, circondato da putti alati su nembi. Distese sulle cimase le statue a corpo intero di Sant'Elia (a sinistra con la spada fiammeggiante) e Sant'Eliseo (a destra col libro delle Scritture), realizzate in contrasto cromatico al candore del marmo di Carrara, presenta una ricca decorazione in foglie d'acanto, ghirlande, festoni fitomorfi, grottesche e rosoni.
1591, Grata, manufatto bronzeo, dono del viceré di Sicilia Diego Enriquez Guzman, conte di Albadalista.[16][17] Al centro del colonnato con otto fusti ionici disposti sull'altare a semicerchio, impreziositi capitelli corinzi e stilobati toccati in oro, si staglia il simulacro raffigurante la Vergine.
Cappella Fardella sotto il titolo di Sant'Alberto, ambiente patrocinato dalla famiglia Fardella.[5][14][8]
XVII secolo, Martirio di Sant'Andrea, dipinto, opera attribuita a Mattia Preti.
XVII secolo, Nazzareno che abbraccia la croce, dipinto, opera di Andrea Carrera.
Cappella del Cristo risorto patrocinata dai «Mercanti di Marina», lato vangelo. Ambiente altrimenti noto come Cappella dei Marinai o Cappella della Risurrezione, adibito a custodia del Santissimo Sacramento e l'Adorazione.
Altare del Cristo risorto: sepolcro marmoreo sostenuto dai simboli dei quattro evangelisti, manufatto sormontato dalla statua del Cristo risorto. Quattro nicchie parietali ospitano ciascuna una statua raffigurante Centurione, ovvero i custodi dell'avello.
Cappella dei Pescatori o battistero.
Annesso alla chiesa vi è il convento generalizio dei padri carmelitani, che era il più grande dell'Ordine in Italia, con il chiostro.
Chiostro grande, con portici e loggiati, costituito da 80 colonne.
Lapidi con iscrizioni di Ferdinando III di Borbone e del figlio Francesco I duca delle Calabrie.
Chiostro settentrionale con cella - chiesetta di Sant'Alberto. Sull'architrave un'iscrizione recita:
"HÆC FVIT ALBERTI DREPANENSI CÆLVLA SANCTI SISTE GRADVM - ATQVE PIAS PECTORE FVNDITE PRECES".
Gran parte dei locali del convento ospitano il Museo regionale Agostino Pepoli che custodisce anche il "tesoro della Madonna". Davanti alla basilica vi è il giardino della villa Pepoli, ora villa comunale.
Sant'Alberto degli Abbati
Nella chiesa vi è una cappella eretta nel 1586 dove si trova la statua reliquario argenteo del trapanese sant'Alberto degli Abbati, opera dell'argentiere Vincenzo Bonaiuto, e che custodisce ancora le sue reliquie, tra cui il teschio intero del santo[28][14]
Beato Rabatà
Al fianco vi è la celletta dove abitava sant'Alberto, e dove sono le reliquie del beato Luigi Rabatà.
La festa della Madonna di Trapani è, assieme alla processione dei Misteri della settimana santa, l'evento religioso più importante del capoluogo.
Santuario Maria Santissima del Fiume, Alcamo
La tradizione attribuisce un miracolo alla Madonna del Fiume, per mezzo delle piogge provvidenziali che fermarono le truppe Borboniche;[3] fu così innalzata una cappella in suo onore. Il generale Pepe, ritenuto debole nei riguardi dei rivoltosi, fu fatto rientrare a Napoli e il generale Pietro Colletta, subentrato a lui, soffocò l'insurrezione.
Il santuario è stato costruito nei primi anni del Novecento; al suo interno si trovano la statua della Madonna del Fiume, scolpita da Giuseppe Ospedale (1925), e un affresco del pittore alcamese Liborio Pirrone sul soffitto.
La cappella è meta di pellegrinaggi nel mese di maggio, soprattutto il sabato mattina quando si celebra la Messa. La festa, con relativa sagra campestre, viene celebrata la prima domenica di agosto.
Santuario Maria Santissima di Custonaci
Il santuario di Maria Santissima di Custonaci è un santuario cattolico dedicato alla Vergine Maria che si trova proprio al centro del paese di Custonaci.
La costruzione dell'edificio è datata intorno alla seconda metà del '500, su una precedente cappella della vergine Maria della Concezione. Con il passare dei secoli, l’originaria cappella è stata più volte restaurata ed allargata.
Il primo lavoro fu fatto nel 1536, poi tra il 1727 e il 1772, e infine il più grande restauro tra il 1870 ed il 1900 ad opera di Mons. Giuseppe Rizzo, che modificò totalmente il Santuario, compresa l'imponente scalinata con l’artistico selciato, la facciata in stile gotico e le colonne.
L'interno del santuario
Un singolare sagrato circonda il santuario, pavimentato con piccoli ciottoli di fiume che vanno a formare unici ed eleganti disegni con motivi floreali e geometrici. La facciata presenta un rosone in tufo a vetri colorati. L’impianto interno è a croce romana con tre diverse navate divise da colonne in muratura dipinte con effetti marmorei dalle quali si innalzano archi a sesto acuto che richiamano gli stilemi gotici.
L’altare maggiore, realizzato in stile barocco nel 1627, è abbellito da marmi policromi; nel complesso marmoreo del presbiterio è presente una statua in marmo dell’Immacolata, risalente alla prima metà del XVII secolo, e sui due lati, le statue in legno di Sant’Alberto e San Giuliano, patroni di Erice.[1]
Nella parte centrale inferiore, possiamo ammirare l’immagine di Maria Santissima di Custonaci, un prezioso dipinto realizzato da Antonello da Messina nel XV secolo. Davanti ad essa è collocata la Lampada della Pace, donata nel 2011 dai comuni ericini, che rimane sempre accesa.[3]
Battistero
Nel cappellone, il settecentesco coro ligneo intagliato e sovrastato da due affreschi della prima metà del '700 di Domenico La Bruna: la Natività della Vergine e la Natività di Cristo con i pastori.
Nella navata destra, vicino all'ingresso, si trova un quadro dell'Ecce Homo (in tela e carta) e sulla porta laterale un affresco che rappresenta un Trasporto ad Erice Vetta, del quadro posto dentro la “Vara”.
In fondo alla navata destra due altari: quello di destra presenta un Crocifisso ligneo del XVIII secolo e una statua raffigurante la Madonna in cartapesta; nell'altare di fronte è custodita una tela raffigurante San Pietro Nolasco (fine XVII - inizio XVIII secolo), dipinto realizzato da Giuseppe Felici.[1]
Nella navata sinistra, in prossimità dell'ingresso, è collocata una tela raffigurante la Natività con San Francesco e San Rocco, opera di Domenico La Bruna; sotto di essa il battistero, con una conca e fusto realizzati in marmo da Mario Bruno e figli nel 1884, e un cupolino in legno dallo scultore Giacomo Miceli nel 1891.
Sopra la porta sinistra è realizzato un affresco recante la rappresentazione dello sbarco dell'immagine di Maria a Cala di Buguto, accanto ad esso si trova un confessionale in legno; nella parte terminale della navata vi sono altri due altari: in quello sinistro ospita la statua lignea raffigurante San Giuseppe Lavoratore del (1800), in quello di fronte, una tela del 1772 raffigurante il Transito di San Giuseppe di Giuseppe Felici.[1]
Nell'annesso museo Arte e Fede è custodita una tempera su legno (di cm 205x85) del 1541, della bottega del Antonello Crescenzio, raffigurante una Madonna in trono con bambino.[4]Anticamente era utilizzata come porta: rinvenuta all'inizio degli Anni Settanta del XX secolo, è stata restaurata.
Culto della Madonna di Custonaci
Il dipinto della Madonna di Custonaci della scuola di Antonello da Messina
Un dipinto della Madonna che allatta il bambin Gesù, dà origine al culto: la tradizione vuole che prenda avvio dopo il dono nel 1400 di un quadro raffigurante una Madonna col bambino, da parte di una nave francese che trasportava il dipinto da Alessandria d'Egitto e che scampò a una tempesta, dopo aver invocato Maria Santissima, rifugiandosi nel golfo di Cornino. In breve sostituì nell'Agro ericino l’antico culto pagano per la dea Venere.
Si tratta in realtà di una tavola in pioppo preparata con gesso, dipinta ad olio nella quale gli studiosi ravvisano l’impronta di un artista della bottega di Antonello da Messina. Il recente restauro ha messo alla luce una data di difficile lettura: 1471 o 1521.
Già dal 1630, Monte San Giuliano (l'attuale Erice), a seguito di una delibera municipale, elesse la Madonna di Custonaci come Patrona principale, ma già nel 1574 aveva ottenuto da papa Gregorio XIII il patronato sul miracoloso Quadro. Anche Trapani, nell'aprile 1776 a seguito di una lunga siccità, finita grazie all'intervento dell'Immacolata, la eleggeva come Patrona.
Nel 1752 viene solennemente incoronato con decreto e beneplacito di Papa Benedetto XIV dal Capitolo Vaticano col titolo di Maria SS. di Custonaci.
La festività, dura quattro giorni, dall'ultima domenica all'ultimo mercoledì di agosto; giorni prima viene effettuata una novena e un pellegrinaggio che, partendo dallo Sperone, si conclude al santuario di Maria SS. di Custonaci. La domenica, prima della Messa solenne, il sindaco di Custonaci recita una preghiera di affidamento alla Madonna, accende un cero e consegna le chiavi della città. Sul capo della Vergine e di Gesù Bambino vengono poste le corone del 1700.
Il lunedì sera ha luogo la Rievocazione storica dello sbarco della sacra immagine della Madonna, presso la Baia di Cornino: una nave, seguita da diverse imbarcazioni, consegna ai marinai locali il "quadro della Madonna".
Dopo lo sbarco, accompagnato dai canti tradizionali di un gruppo folkloristico e dai fuochi pirotecnici,[6] segue la processione con il trasporto della Sacra Immagine al santuario.
Il martedì ci sono i vespri e i carri storico-allegorici sulla vita della Madonna. I festeggiamenti si concludono il mercoledì, con la processione per le vie cittadine e i giochi pirotecnici.
Santuario Maria SS. dell’Alto, Alcamo
Il santuario di Maria Santissima dell'Alto è un luogo di culto mariano, situato sulla vetta del Monte Bonifato, ad Alcamo nella provincia di Trapani.
Una leggenda del XVI secolo narra che un'antica icona della Madonna, di epoca precedente e successivamente scomparsa, fosse rinvenuta, quasi dipinta al suolo e interrata tra le mura del castello sul Bonifato; poiché un devoto voleva che si alzasse dal terreno, cominciò a pregare la santa Vergine affinché si sollevasse un poco in modo da potervi costruire un altare. L'indomani la sacra immagine si trovava all'altezza desiderata, e così quella persona devota fece subito costruire l'altare.
Dopo la scoperta dell’icona miracolosa, il monte Bonifato cominciò a essere meta di pellegrinaggi dai fedeli, i quali aiutarono i tre frati a costruire o, ancora meglio, a “ricostruire” nello stesso luogo dell'avvenuto rinvenimento, la chiesa della Madonna dell’Alto.
La chiesa, restaurata l'ultima volta nel 1930, è a navata unica e con tre altari: l'altare maggiore, l'altare di san Giuseppe e quello del Santissimo Crocifisso. Fra le ultime modifiche il nuovo altare e leggio, progettati dall'architetto Vincenzo Settipani.
Risultano scomparse la pittura originaria, raffigurante la Madonna, e la statua lignea del 1644.
Il percorso che conduce al santuario
Lungo la via sacra dei pellegrinaggi erano collocate 14 figurelle, delle stazioni-edicole della Via Crucis: durante questo tragitto i fedeli recitavano il rosario della Madonna dell’Alto.
Nel '500 fanciulle vestite con l'abito della Madonna, coperto con un velo nero, si recavano in pellegrinaggio in cima al monte per implorare la venuta della pioggia, come afferma il poeta Sebastiano Bagolino in uno dei suoi carmi. Il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, si facevano pure dei pellegrinaggi in suffragio delle loro anime.
La festa era accompagnata dall'uso di fiaccole e falò ("li vampi") che rappresentano un'antichissima tradizione propiziatoria del fuoco che è un simbolo di purificazione, come in molte feste popolari che si tengono in Europa; la fiamma vuole significare anche la morte del vecchio peccato e la luce dell'uomo nuovo dopo avere conseguito il Battesimo.
Ogni anno le manifestazioni religiose si svolgono tra agosto e settembre: dopo un triduo di preparazione, l’ultima domenica di agosto i fedeli si recano in pellegrinaggio a piedi dalla chiesa del Sacro Cuore di Gesù fino al santuario. Segue una settimana mariana, con canti, recita del rosario e celebrazioni Eucaristiche nel santuario, e infine l’8 settembre, festa della natività di Maria, si porta in processione il simulacro della Madonna. Dopo la processione sul monte, spesso ha luogo un recital di canti e poesie in dialetto per lodare la Madonna.
La Parrocchia Sacro Cuore di Gesù e la Congregazione di Maria SS. dell’Alto hanno contribuito alla valorizzazione del santuario, che oggi è diventato una meta ambita da molti pellegrini e devoti.
Santuario Maria SS. della Misericordia, Valderice
Il suggestivo Santuario di Maria Santissima della Misericordia, sorge nel sito in cui si trovava un’edicola della Madonna dai poteri miracolosi; edificato tra il XVII e il XVIII secolo, fu completato dall’architetto trapanese Biagio Amico.
Fu iniziata nel 1640, proprio nel luogo in cui vi era una cappelletta, quasi abbandonata, con l'immagine della Madonna. La devozione per questa immagine ricominciò inseguito al miracolo di guarigione di un anziano ericino chiamato zio Girolamo Verderame. Nel 1769 fu abbellita di stucco, pitture a fresco. La sua forma è quadrata e considerevolmente lunga, ha una navata con tre altari e il cappellone, dove vi è la tela della N.S. della Misericordia, bellissima tela dipinta da Andrea Carreca.
Santuario Maria SS. di Giubino, Calatafimi Segesta
A due chilometri circa da Calatafimi, sul versante settentrionale del colle Tre Croci, si erge il Santuario di Maria SS.ma di Giubino, uno dei più noti santuari mariani della Sicilia, la cui fama è legata alla memoria del Beato Arcangelo Placenza da Calatafimi (1380 – 1460), che vi dimorò per qualche tempo, e, soprattutto, al culto di Maria SS.ma di Giubino, Patrona di Calatafimi.
Le origini di questo santuario sono antichissime, la tradizione narra che il trittico marmoreo con la Madonna poi detta di Giubino era originariamente collocato in una chiesa nella contrada di “Angimbè”;
e poichè questa chiesa minacciava di crollare, esso fu trasportato nella vicina Chiesa di Giubino, ed affidato alla custodia ed al culto degli eremiti, che vi dimorarono fino agli ultimi anni del secolo XVI.
Qui rimase fino al mese di Aprile del 1655, quando Maria SS.ma di Giubino venne eletta Patrona di Calatafimi, il cui territorio era infestato dalle cavallette.
L’icona marmorea della Vergine fu allora tolta dal trittico che era murato sull’altare di questa chiesa, per essere portata in processione.
Da allora in città questa Sacra Icona è stata ospitata nella Chiesa Madre e poi in quella del SS. Crocifisso, fino a quando nel 1907 l’ex chiesa del monastero di S. Caterina divenne il suo santuario di città.
Fu in questo santuario che nel 1931 venne finalmente ricomposto e restaurato il trittico.
Ogni anno nei primi di Luglio il simulacro di “Maria SS.ma di Giubino” viene condotto in processione viene riportato nel santuario di città;
la Domenica successiva viene celebrata la festa di Maria SS.ma di Giubino.
Il santuario comprende una piccola chiesa ed un eremitaggio ad essa attiguo, che “tranne lievi recenti modifiche, conservano ancora le antiche e primiere forme”. Semplice e quasi disadorna la chiesetta, con la porta principale a ponente. La cappella dell’unico altare ha solo qualche ornamento. Sull’altare, quando non è collocata l’icona marmorea originale, viene esposto un quadro di Maria SS. Di Giubino datato 1779. “Nel senso della lunghezza della chiesa, dal lato di settentrione, vi è un piccolo corridoio, dal quale si accede a quattro piccole camerette a guisa di celle, per gli antichi eremiti”. Sotto il santuario c’è una piccola grotta, nella quale si tramanda che il Beato Arcangelo “passava le notti orando e flagellandosi”. Viva è ancora la memoria popolare di un antico cipresso, che fino al 1804 si ergeva vicino al santuario, su cui al Beato “compariva la Santissima Vergine con in braccio il suo diletto Infante”.
Santuario Santo Padre delle Perriere, Marsala
Il racconto-leggenda narra che la statua del Santo venne accidentalmente scoperta quando un pastore, rifugiatosi a dormire nella piccola grotta, ne venne cacciato nottetempo da ignoti, vi tornò successivamente con altre persone e trovò lì il simulacro, che sarebbe divenuto meta di pellegrinaggio. L’esistenza della grotta è comunque certa al 1866, ed appartenne al facoltoso marsalese Nicolò Marino ed ai suoi discendenti fino al 1975, anno in cui fu donata alla Parrocchia. L’estensione attuale del Santuario è frutto anche di altre importanti donazioni private di terreni adiacenti.
Il Santuario, dedicato a San Francesco di Paola, assume questa particolare denominazione perché si trova nell’omonima contrada del marsalese, una zona dove l’estrazione del tufo da cave aperte o sotterranee ha caratterizzato profondamente il paesaggio. “Perriere” rappresenta l’italianizzazione del siciliano “pirreri”, termine con il quale la popolazione locale ha sempre chiamato queste cave.
In origine fu soltanto un piccola grotta scavata nel tufo, la costruzione di una prima chiesa attigua avvenne nel 1866; nel 1899 la grotta fu abbellita con l’aggiunta di una cupola e di un pronao sorretto da due colonne, e nel 1953 venne affiancata da una seconda grotta, oggi cappella del Santissimo Sacramento. L’attuale mezzobusto di San Francesco di Paola, realizzato in tufo ricoperto da stucco, è una copia di quello originario, distrutto da un incendio non molto tempo dopo dalla sua collocazione.
Il graduale sviluppo strutturale segue le vicende spirituali: la devozione nata tra gli abitanti della zona, pur in assenza di eventi particolarmente miracolosi, divenne a poco a poco una tradizione, sempre più diffusa, di gratitudine al Santo per la sua intercessione. La frequenza dei pellegrinaggi spontanei divenne tale da giustificare, nel 1988, l’elevazione a Santuario Diocesano.
Le crescenti esigenze di accoglienza dei fedeli sono oggi soddisfatte da una spaziosa sala di culto semi-sotterranea, ricavata anch’essa da una cava esistente, al di sotto della quale si può visitare un ambiente museale dedicato alla tradizione estrattiva. Altrettanto suggestivi i grandi spazi all’aperto con il recente monumento del Santo.
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