Chi era il Monsù ? Una pagina della storia della cucina siciliana
Durante il regno borbonico nel Sud Italia quello del Regno dele due Sicilie, si diffuse tra le famiglie nobili e quelle abbienti, la consuetudine di avere in cucina cuochi francesi.
L’appellativo Monsù deriva dal francese “monsieur”, cioè signore, venne trasformato in “Monsù” dai servi che lo assistevano erano i capocuochi nelle case aristocratiche.
La tradizione culinaria siciliana è ricca di contaminazioni e influenze straniere. Molti dei piatti affondano le radici nel passato, per questo motivo, oggi vi parliamo del Monsù e dell’importanza che hanno avuto nella storia dell’ isola e non solo.
Nel periodo del regno borbonico nel Sud Italia (dal 1734 al 1861), si racconta che Maria Carolina d’Austria, sorella di Maria Antonietta, quando sposò Ferdinando I di Borbone, sovrano del Regno delle Due Sicilie, insistette con forza affinché la sorella avesse nelle proprie cucine raffinati cuochi francesi. Viene pertanto a consuetudine la presenza in cucina di una figura professionale.
I cuochi francesi ebbero il merito di fondere la culture gastronomica propria con quella locale, apportando modifiche ed adattamenti. La maggior parte di questi professionisti, venuti insieme al loro seguito e custodi della tradizione della haute cuisine francese, si ritrova esule nel Regno delle Due Sicilie e inizia così la professione di cuoco di famiglia nelle case e nei palazzi dell’alta aristocrazia , dove assolve al compito di stupire i commensali con ricchi piatti elaborati.
Conseguenza vuole che avere un monsù era motivo di vanto per una famiglia.
I Monsù avevano un ruolo importante all’interno delle abitazioni della nobiltà. Non erano semplici cuochi, avevano un loro appartamento e una propria forma di pagamento, erano dei liberi professionisti del tempo.
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Anche nella letteratura nel “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa c’è lo splendido «pran pron» di Monsù Gaston, che annuncia l’arrivo in tavola del celebre timballo di maccheroni in crosta servito a Donnafugata.
I cuochi giunti dalla Francia rielaborarono con sapienza le pietanze e crearono piatti che mangiamo ancora oggi, i cui nomi derivano dal francese: il gatò di patate (gateaux), l’aglassato, il ragù, per citarne alcuni.
Qui potete trovare la ricetta del “TIMBALLO DEL GATTOPARDO” altrimenti detto il timballo del Principe di Salina, o pasticcio del monsù, o ancora timballo di maccheroni in crosta, è un armonia di sapori che permette di godere anche dell’aroma di zucchero e cannella che viene fuori una volta aperto l’involucro contenente ogni ben di Dio.
Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo "il Gattopardo" ne ha fornito una intrigante descrizione, grazie alla quale questa ricetta, facente parte della nostra storia gastronomica, è entrata anche nella letteratura internazionale:
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